Pani tipici

Pani Tipici
Pani Tipici

Marchio di qualità

Prodotto agroalimentare tradizionale (PAT)

Descrizione

Il pane, la base dell’alimentazione nei secoli passati, costituisce un elemento formidabile di tipicità e tradizione e rappresenta, nelle sue numerose varianti, un patrimonio gastronomico da riscoprire e valorizzare. Diversi per forma e per dimensione, i pani tradizionali si caratterizzano per ingredienti semplici quali acqua, farina di frumento, sale e lievito naturale o pasta madre (“alvà”). Il lievito naturale è il risultato della fermentazione spontanea di farina e acqua dovuta allo sviluppo di una microflora complessa che, oltre al Saccaromyces cervisiae, l’agente lievitante del lievito di birra, è composta da batteri lattici quali lactobacilli e streptococchi. Questo complesso microbico nutrendosi degli zuccheri presenti nelle farine sviluppa anidride carbonica che incontrando l’opposizione del glutine (struttura proteica che conferisce elasticità alle farine) determina l’incremento di volume dell’impasto. Oltre al gas nella fermentazione naturale vengono sviluppate sostanze che conferiscono una certa acidità all’impasto, quali etanolo, acido acetico e acido lattico, diacetile e acetaldeide.

La panificazione con l’impiego esclusivo di lievito naturale prevede la preparazione di un primo impasto serale utilizzando kg 0,5 di lievito naturale madre in pasta, kg 2,5 di farina e kg 1,3 di acqua, dopo circa 8 ore si effettua il primo rinfresco aggiungendo kg 5 di farina e kg 2,5 di acqua. Successivamente si effettueranno ad intervalli di 3 – 4 ore altri rinfreschi con l’aggiunta di farina e acqua fino ad arrivare al quantitativo di pasta desiderato. Il sale viene aggiunto solamente nell’ultimo impasto. Prima del secondo rinfresco si procede a prelevare una porzione dell’impasto che servirà da pasta madre e verrà conservato fino alla prossima panificazione. Durante la conservazione è necessario mantenere in vita l’alvà con periodici rimpasti con aggiunta di farina e acqua.
Una volta ottenuto l’impasto definitivo la pasta viene suddivisa in “pastoni” da 10-12 kg che vengono ripiegati su se stessi e preparati per il taglio. Con il taglio si conferisce la forma e le dimensioni della pagnotta che viene fatta cuocere in forno per 30 -45 minuti alla temperatura di 250 – 270 °C.

Questa tipologia di panificazione comporta dei tempi di lievitazione molto più lunghi rispetto a quella che utilizza lievito di birra, che riduce i tempi di lievitazione a poche ore. Tuttavia il pane che ne deriva presenta un sapore ed un profumo unico, una maggior conservabilità e digeribilità.

  • Nel caso del tupunin si effettuano tagli a forma di triangolo di piccole dimensioni che vengono infornati avendo cura di sistemare il lato del taglio rivolto verso l’alto affinchè durante la cottura il pane possa aprirsi come un fiore. Dopo la cottura presenta una pezzatura di 70-100 grammi, un colore della crosta bruno dorato, un sapore molto fragrante.
  • Per le miche viene effettuato un taglio sempre a triangolo ma di dimensioni maggiori che fa sì che esse dopo la cottura presentino una pezzatura di 500-700 g, un colore della crosta bruno dorato e un sapore molto fragrante. Le miche a seconda delle zone possono essere chiamate con nomi diversi quali “paesane”, “tursun”, “campere”, “muniè”, “liber”.
  • La campagnola buschese presenta una particolare forma allungata tipo filoncino con una pezzatura di 130-150 g. La sua forma deriva da un taglio trasversale del pastone. La Campagnola è molto richiesta per la sua fragranza e per la forma. Se tagliata al centro, serve per fare la “rustia”, cioè farcita con burro e poco zucchero, o con un misto di formaggi lasciati a macerare (il cosiddetto “brus”), oppure per fare la “somà d’ai”, che si ottiene strofinando l’aglio sulla parte tagliata e condendo con olio e sale.
  • Derivano dalla tradizione panificatoria anche i rubatà, grissini il cui nome deriva dal tipico attrezzo agricolo “rubat” e significa rotolati. Si fanno con la stessa pasta utilizzata per il pane, tagliata a striscioline che vengono fatte rotolare sulla spianatoia, sotto il palmo delle mani, ottenendone dei grissini di media lunghezza. La cottura avviene in forni a temperatura decrescente da 250° C ai 200° C e che, a differenza del pane, è prolungata per eliminare, in tal modo, tutta l’acqua contenuta. Ne consegue un prodotto leggero e friabile, facilmente assimilabile in quanto parte dell’amido si trasforma in destrina e maltosio.

Area di produzione

  • I Tupunin sono prodotti in tutta la provincia di Cuneo
  • Le Miche sono prodotte in tutta la provincia di Cuneo
  • La Campagnola buschese: viene prodotta dai panettieri di Busca (CN), ma anche da quelli di altri comuni cuneesi.
  • I Grissini Rubatà sono prodotti tradizionali del Monregalese, oltre che di altre zone del Piemonte come Chieri e Andezeno nel torinese.

Storia e tradizione

Il pane è un alimento dietro il quale si celano e si concentrano secoli di tradizione e storia. Il pane per i nostri nonni ha costituito un alimento fondamentale da consumare con parsimonia e addirittura uno status symbol. Infatti con l’affinamento dell’arte molitoria è stato possibile ottenere farine sempre più nobili e bianche per la rimozione completa della crusca. Così è cominciata la produzione di pane bianco, considerato di qualità superiore o pane dei ricchi, contrapposto alla tradizionale produzione di pane scuro a base di farina integrale di frumento o di altri cereali. Il legame del pane con il territorio è fortissimo, tanto che i pani tradizionali di certe aree derivano spesso dalla necessità di utilizzare i prodotti che la propria terra è in grado di fornire. Così spesso, nelle località montane, dove la farina di frumento scarseggiava, si produceva pane con farina di segale in purezza e miscelata con le castagne.

Curioso è l’aneddoto che la tradizione tramanda a riguardo dell’origine dei grissini rubatà. Si racconta che il futuro re Vittorio Amedeo II era infatti debole e malaticcio, perché affetto da un’infezione intestinale cronica aggravata dal pane dell’epoca, che pur essendo il pane “bianco” dei nobili, era cotto poco e male e soprattutto reso insalubre dagli inesistenti criteri igienico-sanitari dell’epoca. Pozioni e intrugli medicamentosi si rivelarono del tutto inefficaci, fino a quando il medico di corte, originario della Valle di Lanzo, osservò che egli stesso era guarito dal medesimo disturbo sostituendo alle pesanti pagnotte semicrude un “pan biscotto” sottile e croccante. Fu così che il fornaio Antonio Brunero realizzò il ghersino, “un pane sottile, lungo fino a un metro”. “Ghersino”, da cui “grissino”, in quanto versione ridotta della Ghersa, o Grissia, cioè della pagnotta classica.

Galleria fotografica